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> News del mese di LUGLIO ’2014


i SUKUK della finanza islamica non decollano e non sono noti all'Italia: perdiamo il solito "treno" in Europa?


PERCHE’ NON DECOLLA IN ITALIA LA FINANZA ISLAMICA? OPPORTUNITA’ PER GLI INVESTITORS

 

A cura del Prof.Mauro Norton Rosati di Monteprandone

 

Si potrà pensare quello che si vuole, ma la finanza islamica  rappresenta un fenomeno in continua ascesa: vi sono ancora molte differenze dal punto di vista geografico, con l’intera Africa settentrionale e il continente europeo che non sembrano capire di cosa si tratta, mentre l’intera Asia è già ben abituata, con degli esempi di successo che hanno messo in luce dei rendimenti superiori a quelli messi a disposizione dagli istituti di credito

 

Gli ultimi dati aggiornati in questo senso si possono estrapolare da un’analisi condotta da Monte dei Paschi di Siena, la quale ha voluto sottolineare soprattutto come il Vecchio Continente sia ancora poco avvezzo a investimenti finanziari di questo tipo. L’unica eccezione è forse rappresentata dalla Gran Bretagna, con l’Irlanda che ha cominciato a interessarsi in maniera convinta.
Infatti a ben vedere certamente l’Irlanda sara’ il primo paese europeo ad emettere “SUKUK”.

 

Ma non si tratta ovviamente dello stesso sviluppo che ha interessato nazioni come la Malesia, la Turchia, l’Indonesia, l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Il fatto che invece l’Africa del nord non sia ricompresa in questo elenco così vasto può essere spiegato in maniera abbastanza semplice: in effetti, i governi delle nazioni che si trovano in tale parte del mondo non hanno voluto sostenere lo sviluppo della finanza islamica puntando sulle emissioni di sukuk (i tradizionali titoli obbligazionari), senza dimenticare la normativa su questi prodotti così particolari, del tutto assente.

 

La Malesia è sempre più leader del mercato dei sukuk.

Il motto ufficiale della Malesia recita espressamente “l’unità è forza”: ebbene, l’unità e la forza della nazione asiatica sono ben testimoniate in questo momento storico dagli investimenti finanziari, dato che l’emissione totale di sukuk sia per scopi governativi che societari sono destinati a raggiungere un totale molto importante nel corso di quest’anno, vale a dire44 miliardi di dollari americani, di cui un buon 60% sarà riferibile a questo paese (si tratta di circa ventisei miliardi di dollari per la precisione).

 

Se si vuole effettuare un confronto interessante, c’è da dire che lo scorso anno le quotazioni globali erano di gran lunga inferiori, di poco superiori ai ventisei miliardi.

Come accennato prima in Europa abbiamo anche il  Regno Unito che si è caratterizzato in maniera positiva con degli attivi pari a ben 1,1 miliardi di sterline.

 

In Irlanda il ministero delle finanze sembra pronto a una iniziativa che sta già dividendo i punti di vista: la nazione nordeuropea è una di quelle maggiormente invischiate nella crisi economica dell’eurozona, dunque è praticamente scontato che si stiano percorrendo tutte le direzioni possibili per uscire da queste difficoltà.

 

Una di queste direzioni risponde al nome di sukuk, i titoli obbligazionari islamici, uno strumento praticamente sconosciuto per quel che concerne il Vecchio Continente. In effetti, se le indiscrezioni dovessero essere confermate, l’Irlanda sarebbe il primo paese europeo a emettere un bond di questo tipo.

 

La tipica caratteristica dei sukuk è l’armonizzazione tra il rischio e il rendimento, con una serie di flussi di cassa che sono rispettosi dei dettami della legge della Sharia.

Il 2015 dovrebbe essere l’anno del boom vero e proprio di tali prodotti, le cui performance sono state comunque, dalle prime valutazioni,  lusinghiere anche nel 2013, grazie a paesi come l’Arabia Saudita, il Bahrain e soprattutto la Malesia.

Anche in Francia, in Lussemburgo e nel Regno Unito se ne è parlato in maniera abbastanza diffusa, ma si può trattare di un rimedio efficace? Le condizioni di salute della nazione sono note da tempo, Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale si sono impegnati con prestiti sostanziosi per risollevare le sorti finanziarie, ma lo spread tra i titoli nazionali e i corrispettivi tedeschi non ha aiutato il nostro “Bel Paese” !

 

Cosa c’è da dire in relazione all’Italia? Secondo l’indagine di Monte dei Paschi, nonostante 1,3 milioni di musulmani presenti nel nostro territorio non si è ancora sperimentato nessuno strumento relativo alla finanza islamica, anche se si sta studiano uno strumento come il Mediterranean Partnership Fund per il sostegno del settore privato.

 

Speriamo che la nostra cultura considerata sempre l’eccellenza,non perda anche questa chance! E ponga in essere tutto quanto possa servire, nell’interesse reciproco ad una vera integrazione e non viva solamente di spot, enunciazione di principi, belle parole ma poi ai fatti, siamo inaffidabili.

 

 

 

 


admin
Stampa Pubblicazione: 20/07/2014
Ultimo aggiornamento: 20/07/2014

il TRUST COME STRUMENTO DI TUTELA E GESTIONE BENI CULTURALI. il modello in UK



IIL TRUST  COME STRUMENTO DI TUTELA E GESTIONE DEI BENI CULTURALI:IL MODELLO ANGLOSASSONE  è VINCENTE ?

(prof.Mauro Norton de Neville Rosati di Monteprandone de Filippis dèlfico)

 

Nell'ordinamento giuridico inglese la dicotomia pubblico - privato nella materia dei beni culturali contribuisce a realizzare un sistema di tutela aperto e diffuso in quanto composto dall'interazione di diversi soggetti e dalla compresenza di molteplici istituti. Alla complessità caratterizzante il quadro generale si affianca un sistema regolatorio che solo in minima parte è riconducibile alla legislazione di livello primario, dal momento che comprende atti di normazione secondaria, provvedimenti amministrativi sia generali che individuali e moduli consensuali.

In questo contesto il rapporto tra interessi pubblici e istanze private ha assunto storicamente - e ancora oggi presenta - una varietà di dinamiche e significati.

Secondo una struttura definita dalla dottrina italiana bilaterale, anche in Inghilterra, la relazione tra il polo pubblico e quello privato si è ispirata in primo luogo a una logica di netta contrapposizione.

In altre parole l'interesse pubblico, identificato sia con l'interesse alla conservazione materiale del bene culturale immobile di interesse storico, archeologico ed artistico, che con quello diretto alla ritenzione e al controllo delle esportazioni delle opere d'arte, ha legittimato la previsione di poteri amministrativi essenzialmente di natura ablatoria e/o autorizzatoria al fine di condizionare, da un lato, l'esercizio delle facoltà dispositive ed edificatorie in capo al proprietario e, dall'altro, le scelte di quest'ultimo in ordine alla circolazione giuridica dei beni.

A questo schema, presente nelle sue linee fondamentali ancora oggi, si sono nondimeno affiancati ruoli diversi svolti dei soggetti privati.

La presenza di un interesse alla fruizione e alla diffusione dei beni culturali - riconosciuto dalla legislazione nazionale già a partire dall'inizio del secolo scorso mediante la ricostituzione per via legislativa del National Trust - ha, infatti, agevolato l'individuazione di una molteplicità di interessi aventi carattere collettivo e diffuso legati alla protezione del patrimonio culturale .

Questi ultimi hanno trovato fin da subito espressione non solo mediante il rinvio a una nozione generale di pubblico inteso quale fruitore delle opere d'arte e di cultura, ma anche attraverso il fenomeno spontaneo dell'associazionismo e della costituzione di fondazioni e organizzazioni (charitable trusts) di diritto privato titolari di funzioni consultive e di gestione rispetto ai quali le istituzioni pubbliche hanno finito per assumere un ruolo meramente sussidiario di regolazione generale e di controllo ex post .

 A titolo esemplificativo, proprio a due organismi di diritto privato - la Society for the Protection of Ancient Buildings creata nel 1877 e il National Trust for Places of Historical Interest or Natural Beauty istituito nel 1895 - si devono le prime catalogazioni degli edifici di interesse antico di proprietà privata (ancient buildings) finalizzate alla individuazione di misure conservative e di restauro.

Il riconoscimento della rilevanza economica dei beni culturali e la crescita di una coscienza sociale dell'importanza del patrimonio culturale ha, inoltre, accentuato il ricorso ai privati in qualità di finanziatori delle attività culturali, inizialmente avviato dal primo governo Thatcher attraverso una serie di politiche risalenti ai primi anni '80. L'obiettivo era quello di ridurre l'intervento diretto del governo nel campo dell'arte promosso nel secondo dopoguerra con l'istituzione dell'Arts Council of England, ente pubblico nazionale, cui spetta ancora oggi il compito di provvedere alla distribuzione dei fondi ministeriali e di quelli collegati alla national lottery .

A tal riguardo, nel 1984 venne emanato dal Governo il Business Sponsorship Incentive Scheme la cui attuazione venne affidata alla Association for Business Sponsorship of the Arts (ABSA oggi Arts and Business), organizzazione non profit nata nel 1976 per incoraggiare l'intervento di soggetti privati nel finanziamento delle attività culturali, cui vennero aggiunte, successivamente, le prime disposizioni normative dirette a introdurre una serie di agevolazioni di natura fiscale per le imprese.

La peculiare complessità del sistema inglese di disciplina e gestione della materia culturale e gli effetti che le diverse relazioni tra interessi pubblici e privati determinano non potrebbero, però, essere comprese compiutamente se non una volta inserite in un contesto concettuale, definitorio e normativo generale dai confini talvolta incerti.

La prima incertezza riguarda la stessa nozione di bene culturale cui si somma un contesto normativo frammentario e caratterizzato dalla mancanza di una legislazione chiara, univoca e onnicomprensiva. Per quanto riguarda il primo aspetto, infatti, la classificazione maggiormente rilevante all'interno della categoria dei beni culturale non è dovuta, come nell'ordinamento italiano, al differente regime proprietario ma piuttosto alla natura mobile o immobile dei beni stessi .

Mentre i beni mobili di interesse culturale rientrano nella categoria della cultural property ,i beni immobili appartengono, invece, al cultural heritage in quanto caratterizzati da uno speciale interesse storico, archeologico, architettonico, artistico o ambientale, come avviene, per esempio, nelle ipotesi di ancient monuments, listed buildings of special architectural or historic interest, royal palaces, historic and natural parks and gardens, considerati sia nella loro singolarità che complessivamente nelle c.d. conservation areas[.

A questa disitinzione e alle ulteriori ripartizioni interne si collegano le differenze in termini di competenze amministrative assegnate oltre che agli organi del governo centrale -Department of Environment Food and Rural Affairs (DEFRA)Department of Culture, Media and Sport (DCMS)Department of Communities and Local Government (DCLG) - agli enti locali, agli organismi semi pubblici (i c.d. quangos) e alle agenzie esecutive .

Proprio nel senso di una parziale soluzione dei problemi collegati ai problemi definitori e alle carenze nell'efficacia, effettività e adeguatezza degli interventi, con riferimento ai beni immobili, nell'aprile 2008 il Department of Culture, Media and Sport (d'ora in poi ministero per la Cultura) ha presentato al Parlamento un disegno di legge dal titoloHeritage Protection Bill, il quale persegue apertamente l'obiettivo di unificare i regimi di protezione del patrimonio culturale promuovendo interventi di valorizzazione sia generali che puntuali anche attraverso la conclusione di accordi plurilaterali di gestione con i soggetti privati interessati (sia proprietari che finanziatori) già sperimentati in materia ambientale (c.d. Heritage Partnership Agreements HPAs) .

Il ruolo dei privati nell'ambito della tutela dei beni culturali in Inghilterra consente, quindi, di svolgere alcune interessanti riflessioni in ordine al rapporto e ai modi di composizione dei conflitti tra questi e gli interessi pubblici  oltre che all'apporto da costoro garantito nella realizzazione delle finalità di valorizzazione e di efficienza gestionale.

Ciò nonostante, occorre dar conto di alcune contraddizioni di cui l'ordinamento di common law si fa espressione.

Basti pensare che se da un lato molte delle collezioni museali anche a livello locale sono arricchite e valorizzate grazie all'agire congiunto dei governi locali e delle associazioni private, come è avvenuto nel caso del National Maritime Museum, la cui gestione e promozione è stata affidata a un atto di indirizzo chiamato Uk Maritime Collections Strategyelaborato nel 1998 da operatori del settore e da soggetti privati, in altri casi interessi privati all'uso del bene di natura spesso prettamente commerciale finiscono per limitare talvolta del tutto l'interesse pubblico alla garanzia di una piena accessibilità e fruizione.

Un esempio significativo al riguardo si trova nella città di Oxford dove una nota catena di fast-food e una celebre compagnia assicurativa esercitano la propria attività nel centro cittadino all'interno di uno degli edifici più antichi, un tempo una locanda, dove anche William Shakespeare ebbe a soggiornare durante un viaggio di ritorno da Londra alla sua città natale. In questo caso solo gli avventori dell'esercizio commerciale e gli impiegati della agenzia possono godere degli affreschi e dei pavimenti originali dell'edificio risalenti al 1182 .

 

La sinergia tra pubblico e privato nella tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali

La categoria degli attori privati non è, del tutto omogenea ed è anzi dominata del fenomeno dell'associazionismo e dall'operato delle fondazioni di diritto privato, generalmente costituite attraverso la forma delle charities o del trust.

Nell'ordinamento inglese, l'intervento delle associazioni e delle fondazioni private costituite su base volontaristica per scopi di conservazione e di beneficenza ha assunto fin dal XIX secolo un ruolo decisivo nel settore culturale anche prima e indipendentemente da qualsivoglia regime pubblicistico di tutela. La Society for the Protection of Ancient Buildings, per esempio, creata nel 1877 da William Morris per la protezione e il recupero dei monumenti di interesse storico e archeologico, diede vita alle prime forme di catalogazione dei beni divenute poi il fondamento degli interventi di tutela contenuti nella legislazione successiva.

Allo stesso tempo, con riferimento alla lotta al traffico illecito di opere d'arte, negli anni '80 del secolo scorso, fu la Museums Association, quale associazione di diritto privato rappresentativa dei musei, ad adottare un codice di comportamento che regolasse le politiche di acquisizioni delle opere d'arte richiamando le organizzazioni museali all'osservanza dei principi della Convenzione UNESCO del 1970 al fine di evitare l'accoglimento nelle collezioni di opere esportate illegalmente.

Per quanto riguarda la disciplina applicabile a questo tipo di organizzazioni - riconducibili con una certa approssimazione alle categorie giuridiche italiane delle associazioni e della fondazioni di diritto privato e alla loro attività occorre riferirsi al diritto delle charity entities e dei trusts; questi, infatti, come è noto, sono costituiti essenzialmente o da un vincolo di natura patrimoniale o da un accordo di tipo associativo con intestazione di beni e attribuzione di responsabilità gestorie in capo ai trustees.

In virtù del Charity act del 1993 così come riformato nel 2006 uno degli scopi per cui una charity può essere costituita riguarda appunto "the advancement of the art, culture, heritage or science"La Charity Commission, autorità indipendente e responsabile nei confronti del Parlamento della regolazione in materia ha più volte chiarito che il riferimento all'advancement di cui al testo legislativo richiama la funzione generale di promozione del patrimonio culturale, espressione della storia e dell'identità nazionali. L'ambito di intervento di una charity in questo settore dovrebbe quindi comprendere oltre alle attività di conservazione materiale e di restauro delle opere anche quelli di più ampia valorizzazione affinché ne sia garantita la fruizione da parte del pubblico .

In questo settore la tipologia delle organizzazioni senza fine di lucro che perseguono charitable purposes è varia. Da un punto di vista costituitivo, infatti, si rinvengono organismi creati sulla base di un atto di natura privata (bylaw; memorandum of association; trust) così come organizzazioni istituite attraverso Royal Charter (come nel caso della National Gallery) o per Act of Parliament (come nel caso del National Trust)

In base alla natura delle attività perseguite è possibile distinguere charities a base associativa le cui finalità si identificano nella conservazione di un gruppo o di un tipo di beni attraverso la promozione di studi specializzati e campagne di informazione e sensibilizzazione a livello nazionale e locale cui viene dato il nome di amenity societies, da altre, definite "building preservation trusts"Queste ultime acquistano edifici di interesse storico ed artistico al fine di provvedere al loro restauro per poi venderli, affittarli o gestirli. In questo modo, infatti, le organizzazioni recuperano i fondi necessari a intraprendere attività future dello stesso tipo. Alla categoria delle charities vanno, infine, ricondotte la maggior parte delle istituzioni museali e altri charity trusts, istituiti per la tutela, la valorizzazione e la gestione di un solo edificio o di un complesso architettonico di proprietà privata.

A questa ultima categoria è dedicata in particolare la guidance RR9 dal titolo "preservation and conservation" elaborata nel febbraio del 2001 dalla Charity Commission la quale disciplina nello specifico il rapporto tra l'obbligo imposto alla charity di garantire l'accesso al bene da parte del pubblico ("the benefit of the public") e eventuali interessi contrapposti tra i quali quello del privato proprietario o detentore dell'immobile e  quello generale di prevenzione da possibili rischi di deterioramento. In questi casi sono, infatti, consentite l'individuazione e l'elaborazione di modalità diverse di fruizione, come, per esempio, l'accesso parziale o esterno e l'utilizzo di supporti multimediali e cartacei.

A tutela della realizzazione di questi obiettivi è posta la attività di controllo e monitoraggio della stessa commissione che richiede, in sede di registrazione della costituenda charity, la presentazione di un piano dettagliato relativo agli rari di apertura e alle forme di pubblicità delle informazioni rivolte agli utenti.

 Le amenity societies strumento di  tutela del patrimonio culturale

Le amenity societies costituiscono un particolare tipo di registered charities a base associativa. Esse esercitano la propria attività nel settore del patrimonio culturale con riguardo soprattutto alle finalità di conservazione e di promozione dei beni anche attraverso l'elaborazione di iniziative promozionali, di studio ed educative a livello centrale e locale.

La loro presenza nel contesto culturale ed artistico in Inghilterra risale alla fine del XIX secolo con la creazione della Society for the Protection of Ancient Buildings avvenuta nel 1877, seguita nel 1898 dalla Society of Antiquaries of London (divenuta oggi il Council for British Archaeology), dall'Ancient Monuments Society del 1924, dal Georgian Group del 1937, dal Civic Trust e dalla Victorian Society costitutuiti nel 1957 e, negli anni più recenti, dalla Garden History Society e dalla Twentieth Century Society.

Proprio per la loro riconosciuta competenza tecnica in materia di beni culturali, dovuta in molti casi a una compagine partecipativa composta da volontari ed esperti del settore, queste organizzazioni hanno ottenuto, a partire dalla metà del secolo scorso, un espresso riconoscimento in molti atti normativi di legislazione primaria e secondaria, che le hanno qualificate come soggetti consultivi (statutory consultees) nell'ambito dei procedimenti amministrativi riguardanti i beni oggetto di tutela.

Questo si è verificato soprattutto con riferimento agli interventi edilizi sui beni immobili in relazione ai quali fin dal Town and Country Planning Act del 1968 si è previsto l'obbligo per le autorità locali di notificare le domande di autorizzazione per le demolizioni degli edifici protetti (listing building consent) alle amenity societies sia nazionali che locali, in modo da consentire loro di esprimere un parere in merito alla istanza .

A tale previsione, ripresa dal Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act del 1990 e disciplinata nel dettaglio dalla circolare del ministero dell'Ambiente n. 01 del 2001 relativa agli "Arrangements for Handling Heritage Applications - Notification and Directions by Secretary of State", si è aggiunta negli anni successivi anche la possibilità per lenational amenity societies di segnalare al ministero per la Cultura, gli edifici di interesse storico ed artistico per i quali si ritiene opportuna l'iscrizione nel registro di tutela .

Dello stesso tenore sono anche le disposizioni contenute nelle proposta di legge presentata dal ministero per la Cultura nell'aprile del 2008 e relativa al patrimonio culturale (Heritage Protection Bill)Viene previsto, infatti, l'obbligo dell'Autorità competende a gestire il registro dei beni soggetti a protezione di informare "any national amenity society specified in an order made by the appropriate national authority for the purposes of this paragraph which has special knowledge of, or interest in, the structure concerned or registrable structures of its type", invitandola a presentare le proprie valutazioni [

Tra le amenity societies quelle che esercitano la propria attività a livello nazionale godono di una posizione privilegiata nel sistema di tutela non solo a causa del numero di associati, ma anche e soprattutto per la dimostrata competenza specialistica di cui sono portatrici. La constatazione del ruolo assunto ha spinto queste organizzazioni a costituire nel 1972 un organismo che ne coordini e ne regoli l'attività, il Joint Committee of the National Amenity Societies, con l'intento di elaborare e presentare proposte di modifica per la legislazione, il sistema fiscale e le politiche che riguardino gli edifici di interesse storico e artistico. La rilevanza del comitato ha trovato da ultimo conferma nella partecipazione agli incontri dello stesso di funzionari del ministero e dell'English Heritage in qualità di osservatori .

Al Joint Committee spetterebbe, inoltre, la designazione di alcuni dei membri dei Conservation Area Advisory Commitees, organismi di tutela a livello locale composti principalmente da rappresentanti dei governi e delle associazioni locali, previsti dal paragrafo 4.13 della National Planning Policy n. 15 "Planning and the Historic Environment".Questi organismi dovrebbero affiancare le autorità territoriali nella elaborazione delle politiche e degli interventi riguardanti le aree caretterizzate da una particolare esigenza di protezione (conservation areas).

Sul punto, però, il condizionale è d'obbligo dal momento che la previsione è rimasta pressoché inattuata e delle 9.000 autorità locali sul cui territorio insiste una conservation area, solo una minima parte si è dotata dei comitati competenti.

Alle organizzazioni a competenza specifica, infine, come per esempio nel caso del Council for British Archaeology, della Garden History Society, del Georgian Group o dellaVictorian Society, è spesso riconosciuta una funzione consultiva nei procedimenti per l'emanazione delle policies, guidances best practices finalizzate all'aggiornamento e all'integrazione della normativa di settore, nonché e per la completa attuazione di quella vigente.

 I Building Preservation Trusts e l'attività del National Trust

Nello svolgimento degli interventi di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali immobili di interesse storico, artistico e paesaggistico, di particolare interesse è l'attività dei building preservation trusts, vale a dire charities costituite su iniziativa privata poste a tutela di edifici singoli o di complessi immobiliari a rischio di degrado. Tali organizzazioni agiscono in base a una logica parzialmente commerciale e imprenditoriale nonostante non vi siano finalità di profitto e prospettive concorrenziali. La loro attività si sostanzia tradizionalmente nell'acquisto per somme modeste di edifici bisognosi di interventi conservativi e nel loro restauro mediante l'utilizzo di fondi propri integrati da finanziamenti statali; una volta ultimati gli interventi l'edificio viene gestito direttamente dal trust oppure venduto o affittato nuovamente a privati dietro accettazione di una serie di vincoli a carattere conservativo.

Le attività dei building preservation trusts sono sovente coordinate dal National Trust, probabilmente uno dei più importanti organismi senza fine di lucro nel campo delle attività di natura conservativa e promozionale in materia culturale; per quanto riguarda i beni immobili, queste ultime sono, infatti, in parte assimilabili a quelle esercitate dai building preservation trusts, anche se, in generale, i settori di intervento del National Trust sono piuttosto vasti e comprendono la valorizzazione e la gestione anche di beni culturali mobili o di collezioni artistiche.

Proprio quest'ultimo profilo ha via via assunto maggior rilievo tanto che a partire dal 2005 il National Trust è stato riconosciuto come una delle autorità museali più importanti del Regno Unito grazie alle proprietà di oltre 150 collezioni ognuna delle quali ha ottenuto l'accreditamento da parte dell'Museum, Libraries and Archives Council.

Nato come associazione di diritto privato nel 1894, il National Trust for Places of Historical Interest or Natural Beauty è stato sciolto e nuovamente costituito come statutory charity con personalità giuridica in base al National Trust Act del 1907 mantenendo gli scopi originari dell'organizzazione, vale a dire "promoting the permanent preservation for the benefit of the nation of lands, tenements, (including buildings) of beauty or historic interest and as regards lands for the preservation (so far as practicable) of their natural aspect features and animal and plant life", ai quali, con le riforme legislative successive, sono stati aggiunti gli obiettivi di conservazione di beni mobili ("preservation of furniture and pictures and chattels of any description having national or historic or artistic interest") e di valorizzione dei beni culturali anche attraverso la realizzazione di programmi di informazione, di educazione e di studio .

In quanto charity costituita secondo forme pubblicistiche e attraverso un atto del Parlamento, il National Trust , sebbene indipendente finanziariamente dal governo e soggetto come tutte le organizzazioni non lucrative al controllo della Charity Commission presso la quale è registrato di diritto, presenta un ordinamento disciplinato direttamente dalla legge, la quale dispone, tra gli altri aspetti, l'inalienabilità di parte del suo patrimonio (c.d. fixed heritage) .

L'attività del trust si sostanzia nella acquisizione di beni culturali e in interventi di tutela, conservazione e gestione degli stessi, resi possibili dalla continua elaborazione di programmi di funding raising.

Mentre le acquisizioni dei beni possono avvenire generalmente sia a titolo gratuito che a titolo oneroso a seguito di contratti di compravendita, di leasing o di locazione, la loro gestione può essere esercitata secondo schemi differenziati: accanto a modalità ormai poco utilizzate, quali la successiva vendita, l'affitto o il leasing a terzi il National Trustha elaborato nel corso degli anni varie politiche di fruizione  e ha dato vita alla società a responsabilità limitata denominata National Trust (Enterprises) Ltd per l'esercizio di molti servizi aggiuntivi a natura commerciale, come la pubblicazione di cataloghi o l'organizzazione e l'affitto delle strutture per convegni e manifestazioni .

Dato che il National Trust non riceve alcun tipo di erogazione diretta da parte degli apparati pubblici, gli strumenti di finanziamento più diffusi sono, quindi, rappresentati oltre che dalle rette annuali dei membri e dalle erogazioni liberali provenienti da soggetti privati stimolate attraverso le campagne di raccolta fondi (c.d. appeals), da nuovi meccanismi di on line fundraising e dalle operazioni commerciali del National Trust (Enterprises) Ltd che ha promosso, negli anni più recenti, la conclusione di accordi di sponsorizzazione e di parternship .

 Le attività museali

La politica di gestione delle attività museali in Inghilterra si presenta alquanto articolata soprattutto in relazione alla presenza di tipologie di musei differenti per natura, dimensione e ambito territoriale di riferimento.

L'attività museale è svolta, infatti, da musei nazionali (national museums)  da musei locali (local authority funded museums), da musei universitari (university museums) e da musei indipendenti i quali possono avere a loro volta rilevanza sia locale che nazionale (independent museums.

Tra tutte queste categorie quella dei musei nazionali o di rilevanza nazionale gode ancora oggi di un regime normativo del tutto peculiare in quanto riservato alla disciplina di fonte legislativa.

I musei statali, infatti, nati originariamente come pubbliche istituzioni, sono divenute nel corso del tempo charity trusts di diritto speciale in virtù di quanto disposto dal Museums and Galleries Act del 1992; per questo motivo da un lato sono sottratti al controllo della Charity Commissions in quanto exempt charities, dall'altro, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile, vengono classificati come quangos, ovvero come enti pubblici esecutivi non dipartimentali .

A partire dagli anni '80 il ruolo dell'apparato pubblico ministeriale nei confronti delle istituzioni museali e, nello specifico, del ministero per la Cultura, è stato notevolmente ridimensionato; è stata infatti riconosciuta una maggior autonomia finanziaria mediante l'affidamento, secondo lo schema generale previsto dalla charity law, delle funzioni gestorie ai boards of trustees i quali sono tenuti a valorizzare il potenziale economico delle collezioni .

Appare nondimeno evidente che il principio di autonomia comporta necessariamente il risultato di una elaborazione delle politiche di gestione differenziate a seconda delle diverse strutture: mentre, per esempio, per le collezioni che fanno capo al National Trust quest'ultimo predilige un regime che ne assicuri, ove possibile, la conservazione nel contesto di riferimento più appropriato, per altre tale aspetto della tutela è spesso poco considerato, basti ricordare il recente fatto di cronaca che ha visto il primate cattolico d'Inghilterra contrapporsi al direttore della National Gallery con riferimento alla collocazione della celebre opera Il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca entrata a far parte della collezione del museo nel 1861 .

Il cambiamento avviato non ha determinato, però, un generale arretramento dell'intervento dei pubblici poteri, quanto piuttosto un nuovo modo di elaborazione delle politiche affidate ora al Museums, Libraries and Archives Coucil (MLA), agenzia esecutiva con uffici decentrati a livello regionale .

Il MLA ha in primo luogo il compito di attuare un sistema di controlli ad intensità variabile a seconda della natura pubblica o privata dei finanziamenti raccolti dalle strutture museali e avente ad oggetto soprattutto la qualità della gestione e dei servizi; l'obiettivo è quello di favorire per quanto possibile la collaborazione delle diverse istituzioni sia nazionali che locali e la conclusione di accordi con soggetti terzi e sponsors privati .

Il finanziamento diretto da parte del governo - come avviene nel caso del British Museum o della National Gallery - determina, per esempio, modalità di controllo specifiche con riferimento al rispetto dell'obbligo di garantire un accesso gratuito alle collezioni, oltre alla nomina da parte del ministro per la Cultura della maggioranza dei componenti delboard of trustees e del direttore del museo .

Quest'ultimo, è tenuto a rispondere dell'utilizzo dei fondi pubblici assegnati direttamente agli organi ministeriali in virtù di un funding agreement, di un management statement e di un financial memorandum che impongono la presentazione di una relazione annuale sulla stato di tutela delle collezioni, sul piano di sviluppo del museo e sulla situazione finanziaria.

La disciplina dei musei locali, universitari e indipendenti è, invece, meno invasiva e ruota essenzialmente attorno all'istituto della accreditamento introdotto nel 1988 con ilMuseum Registration Scheme e contenuto a partire dal 2004 nell'Accreditation Scheme for Museums il quale, sebbene formalmente facoltativo, rappresenta attualmente il presupposto necessario per la concessione dei finanziamenti pubblici sia statali che locali.

Lo schema sottoscritto dal ministero per la Cultura, dalle associazione rappresentative del governo locale e dall'Heritage Lottery Fund introduce una livello minimo di standardsche le organizzazioni museali al momento della richiesta di accreditamento si impegnano ad osservare sottoponendosi a un controllo successivo e periodico in ordine alla loro attuazione.

Il contenuto degli standards che riprendono in parte quanto stabilito dal codice etico elaborato dalla Museum Association nel 1994, riguardano quattro settori fondamentali, vale a dire il governance and museum management, gli user services, le visitor facilities e il collection management; la procedura amministrativa di accreditamento è gestita dal MLA che affida l'istruttoria e il controllo all'accreditation commitee, composto da esperti e professionisti del settore.

Al fine di garantire un adeguato uso delle risorse anche nel senso di consentire l'accrescimento quantitativo e la valorizzazione qualitativa delle collezioni, il governo centrale ha, inoltre, previsto due istituti particolari: l'acceptance in lieu e il government indemnity scheme.

Il primo, simile al nostro meccanismo di pagamento della imposta di successione tramite cessione  consente ai contribuenti, che non desiderino pagare l'imposta di successione sui beni ereditari, di trasferire al ministero per la Cultura la proprietà dei beni culturali di interesse storico e artistico rientranti nell'asse ereditario dietro pagamento di un corrispettivo pari al valore di mercato del bene, affinché possano essere assegnati all'istituto museale più appropriato per garantirne una adeguata fruizione da parte del pubblico .

Il secondo rappresenta, invece, una forma di assicurazione non commerciale rivolta ai musei che vogliano ampliare le proprie collezioni mediante l'acquisto o il prestito di opere d'arte provenienti da paesi stranieri.

L'attività di grantmaking svolta dalle fondazioni e dai trusts patrimoniali

Come già anticipato in apertura di questa sezione in molti casi l'attività di finanziamento alle attività culturali è svolta da charities foundations nate dal conferimento di un patrimonio e prevalentemente dedite alla raccolta e all'erogazione o alla sola erogazione di fondi a favore di attività sociali di pubblica utilità.

Nel gennaio del 2007 la Charities Aid Foundation (CAF) e l'Association of Charitable Foundations (ACF) hanno pubblicato un manuale relativo al "grantmaking by trusts and charities" dal quale emerge che nel biennio 2004/2005 i fondi distribuiti per attività culturali hanno raggiunto un valore pari all'8% del totale, per un ammontare totale di 230 milioni di sterline.

Generalmente il patrimonio delle charities che si occupano delle sovvenzioni e dei finanziamenti è in origine costituito da un lascito testamentario il quale viene poi investito dalboard of trustees.

A questo proposito occorre rilevare, infatti, che i charity trustees hanno un obbligo generale di investire i fondi patrimoniali che fanno capo al trust anche attraverso la partecipazioni in holding con società commerciali .

L'erogazione dei fondi avviene, quindi, sulla base di un programma e a seguito di una istanza proveniente dai soggetti privati, sia singoli individui che associazioni, imprese o altre charities impegnate nella gestione dei beni; ogni fondazione rende pubbliche le condizioni in base alle quali l'iniziativa potrà essere finanziata e spesso, tra i criteri ritenuti necessari, ne vengono previsti alcuni relativi a progetti finalizzati alla promozione di interessi affini ma ulteriori rispetto a quelli culturali di tutela e valorizzazione, come, per esempio, nel caso dell'educazione alla cultura nei settori scolastici e giovanili o del sostegno di gruppi sociali svantaggiati o disabili.

Gli strumenti tipici di finanziamento delle charities di gestione: donazioni, memberships e programmi di sostegno

Da quanto emerso finora dal presente lavoro, nel settore culturale in Gran Bretagna si registra un ruolo piuttosto rilevante del modello organizzativo delle charitable insititutions,quali i trusts o le charities a forma associativa.

Questo dato trova giustificazione in parte in ragioni di carattere storico, in parte si spiega con la possibilità che questi organismi hanno di ricorrere a svariate forme di finanziamento, agevolate dal contesto normativo che prevede una serie di esenzioni di natura fiscale .

Innanzitutto le charities che sono istituzioni museali hanno la possibilità di svolgere tutte quelle attività economiche che siano direttamente connesse con gli scopi di pubblica utilità delle stesse (primary purpose trading); nel caso in cui, invece, le attività economiche svolte non siano immediatamente connesse con tali scopi (non primary purpose trading) esse devono costituire una società collegata la quale godrà di regimi di esenzione per i trasferimenti in denaro a favore della charitiy controllante .

Oltre a ciò, tra i più importanti sistemi di finanziamento delle charities che gestiscono beni rientranti nel patrimonio culturale vi sono le erogazioni provenienti dai singoli individuali, cui l'Art and Business ha di recente dedicato l'Individual Giving Manual pubblicato nel 2006.

Sulla base di quanto riportato dal documento, tra il 2004 e il 2005 le erogaziono private hanno raggiunto un ammontare totale pari a 244 milioni di sterline, rispetto ai 119 milioni raccolti tramite il generale ricorso ai contratti di sponsorizzazioni.

Diverse sono le modalità con cui questo tipo di erogazioni individuali possono essere raccolte dal momento che ciò può avvenire sia sporadicamente (tramite campagne di raccolta o appeals) che stabilmente (tramite procedure di partecipazione all'organizzazione). Quanto alla prima modalità il governo ha previsto alcuni istituti giuridici di natura fiscale con il fine di incentivare i finanziamenti ottenuti tramite donazioni, campagne o appelli rivolti al pubblico, quali il gift aid scheme e il payroll giving.

Mentre quest'ultimo riguarda uno strumento introdotto nell'ordinamento verso la fine degli anni '80 che consente ad ogni lavoratore e datore di lavoro di destinare parte delle trattenute salariali a organizzazioni no profit, il gift aid scheme è un istituto piuttosto particolare dal momento che consente all'organizzazione di ottenere da parte dell'amministrazione tributaria un ammontare monetario aggiuntivo pari a 28 centesimi per ogni sterlina donata e raccolta.

Per quanto riguarda invece meccanismi di finanziamento a carattere continuativo, le charities a struttura associativa possono beneficiare dei ricavi collegati ai sistemi di friends' schemes e di memberships annuali o pluriennali.

In questo caso, infatti, si possono prevedere varie tipologie di partecipazione dei privati all'associazione, come, per esempio, quelle onorarie, ordinarie o relative alle categorie dei semplici sostenitori, cui si collegano sistemi di agevolazioni in sede di visita e di fruizione delle opere, diritti di informazione periodica e benefits particolari.

                                                          IN CONCLUSIONE

 

Il presente contributo ha avuto l'obiettivo di indagare le modalità di relazione tra attori pubblici e interessi privati nel sistema di tutela dei beni culturali in Inghilterra. Al riguardo il titolo dato ha posto un interrogativo circa i caratteri propri del modello espresso dall'ordinamento inglese al fine di valutarne la possibile esportazione anche in ordinamenti diversi.

La risposta a questa domanda potrà ovviamente avere un valore meramente tendenziale che prenderà forma solo attraverso l'esposizione, in sintesi, dei tratti fondamentali del regime giuridico posto a protezione del patrimonio culturale in Inghilterra individuando il ruolo riservato ai soggetti privati rappresentati, a seconda dei casi, dai proprietari dei beni soggetti a tutela, dagli enti esponenziali della collettività cui risulta assegnata la cura e la promozione dei valori culturali e dal pubblico inteso sia come fruitore dell'opera che come finanziatore.

Innanzitutto occorre dar conto di un limite di sistema sorto nel corso dell'analisi, vale a dire la constatazione che, a differenza di altri ordinamenti, lo studio della disciplina dedicata al patrimonio culturale è un settore quasi esclusivamente lasciato ai documenti prodotti dai soggetti attivi operanti nello stesso (attori pubblici o semi pubblici, organizzazioni rappresentative di interessi) e lasciato pressoché inesplorato dalla dottrina giuridica inglese

Tale caratteristica ha reso in parte più difficile l'approfondimento prefissato, tenuto conto della mancata elaborazione di un quadro dogmatico e concettuale di riferimento.

Nonostante ciò, storicamente anche nell'ordinamento inglese, come in molte altre esperienze giuridiche europee, le prime forme di tutela relative ai monumenti antichi e ai beni immobili di interesse storico, artistico e architettonico sono state connesse all'esigenza di sottrarre tali beni ai rischi di distruzione o di modifiche pregiudizievoli

Il fondamento giuridico alla base delle misure amministrative di tutela non è dissimile da quello elaborato nel secolo scorso dalla dottrina italiana :l'interesse pubblico alla conservazione - resa necessaria affinché le potenzialità qualitative del bene possano passare da una generazione all'altra - legittima una funzionalizzazione della proprietà, che, pur rimanendo privata, viene limitata in vista dell'utilità sociale che il patrimonio culturale esprime .

In altre parole, l'idea che contrappone l'interesse della collettività a preservare quei beni che rappresentano i valori della storia, dell'arte e delle tradizioni della Nazione, alle facoltà dominicali si è tradotta fin dalle origine nella elaborazione - spesso contrastata - del concetto di "cultural proprerty" e di "cultural heritage" tale per cui alla proprietà privata del bene si somma un elemento vincolistico ulteriore che esprime una qualità dello stesso immutabile rispetto ai passaggi generazionali.

Tali esigenze, che permangono ancora oggi nella legislazione di tipo conservativo, si sostanziano in poteri amministrativi di natura ablatoria e autorizzatoria, imponendo al proprietario o al detentore di un bene immobile di interesse culturale, registrato o inserito in una lista dei beni protetti, non solo di ottenere dall'amministrazione locale un'autorizzazione prima di iniziare qualsiasi intervento edilizio, ma anche di svolgere una corretta attività di manutenzione pena, in molti casi, l'emanazione di un provvedimento di espropriazione.

Appaiono di tutta evidenza l'importanza e la rilevanza della previsione di poteri pubblici autoritativi risalente al XIX secolo in un ordinamento dove, all'epoca veniva ancora fermamente disconosciuta l'esistenza stessa di un vero e proprio diritto amministrativo di cui essi rappresentano, quindi, una delle prime importanti manifestazioni .

Nel corso del tempo, al concetto di conservazione si è accostato ben presto quello di valorizzazione nella prospettiva di una fruizione pubblica dei beni tradotto nella terminologia inglese in vario modo, ma riconducibile alle nozioni di advancement promotion.

Il principale riferimento normativo alle attività di valorizzazione si ritrova già nella legislazione dei primi anni del '900; il National Trust Act del 1907, infatti, stabilisce che tra i compiti del National Trust vi sia quello di "promuovere la conservazione del patrimonio culturale" (section 3(2)) al fine di garantire l'apertura dei siti e la fruizione di questi da parte della collettività (section 29).

Proprio nel contesto della promozione, l'attività dei soggetti privati si è rivelata determinante e tale da sviluppare una vera e propria amministrazione e gestione dei beni culturali svolta dalla libera iniziativa delle associazioni private e delle altre organizzazioni non lucrative (charities trusts) .

A queste ultime infatti si deve la realizzazione di molte delle attività di tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali non solo attraverso la promozione della ricerca, dello studio e della formazione - come avviene per esempio nel caso delle national local amenity societies - ma anche asservendo alcune delle logiche imprenditoriali agli scopi altruistici perseguiti, attività tipica soprattutto dei buildings preservation trusts.

Il ruolo dell'apparato pubblico è, di conseguenza, indiretto anche se non totalmente assente dal momento che vi è la necessità di creare tutte le condizioni affinché i soggetti privati possano esercitare efficacemente le propri funzioni.

Innanzitutto le organizzazioni non lucrative operanti nel settore sono sottoposte al controllo della Charity Commission, ente di regolazione e vigilanza, cui compete il controllo non solo della sostenibilità dei piani di gestione dei beni e delle opere culturali ma anche dei servizi offerti e dei regimi di finanziamento .

Per le istituzioni museali analoga funzione è svolta dal MLA che in sede di accreditamento valuta i valori inerenti a una sana gestione delle collezioni e alle modalità attraverso cui sono realizzati gli obiettivi legati all'esigenza della fruizione collettiva (orari, supporti, prezzi, strutture e servizi collegati) .

Tra gli interventi pubblici di supporto vanno poi letti gli apparati di finanziamento pubblico che, salva l'ipotesi dei musei di rilevanza nazionale, finanziati direttamente, prevedono lo stanziamento di fondi solo per i progetti ritenuti meritevoli sulla base delle valutazioni discrezionali dell'Arts Council of England, che distribuisce anche parte delle risorse raccolte attraverso il meccanismo della national lottery.

La normativa fiscale prevede poi incentivi piuttosto consistenti per i finanziamenti provenienti dai privati ottenuti mediante la conclusione di accordi di sponsorships o le erogazioni di carattere liberale. Queste ultime sono estremamente vitali per le charities che gestiscono i beni culturali, le quali possono prevedere differenti strumenti per la raccolta dei fondi necessari alle iniziative, a partire dalle donazioni legate a una singola iniziativa, fino a programmi di membership annuali o pluriennali.

Gran parte dei finanziamenti, inoltre, sono assegnati da organizzazioni non lucrative a carattere patrimoniale, le quali spesso prevedono l'assegnazione delle sovvenzioni a quei progetti che realizzino obiettivi particolari a sostegno di interessi ulteriori rispetto a quelli di conservazione e gestione, come per esempio l'educazione e l'accostamento dei giovani ai valori dell'arte e della cultura.

Il quadro che ne risulta contribuisce quindi a creare una logica di tutela diffusa ed aperta dove l'interesse pubblico è, nella sua traduzione in concreto, mediato dagli interessi di cui la stessa società civile si fa carico, realizzati spesso in termini piuttosto soddisfacenti come nel caso del National Trust che rappresenta probabilmente una delle maggior organizzazione non profit di tutela culturale e ambientale in Europa.

Certamente, quanto detto, non elimina alcuni profili problematici, primo fra tutti la mancanza di una normazione univoca ed esaustiva di riferimento che disciplini in modo coerente i principi fondamentali della materia e la loro attuazione.

Di tale esigenza si è fatto portatore lo stesso governo che nell'aprile scorso ha presentato al parlamento il disegno di legge da titolo Heritage Protection Bill il quale persegue l'obiettivo di unificare i regimi di protezione dei beni culturali immobili promuovendone la valorizzazione anche attraverso la conclusione di accordi di gestione con i privati interessati (Heritage Partnership Agreements).

Nella medesima direzione vanno anche gli accordi tra istituzioni museali diretti a migliorare la qualità dell'organizzazione e a potenziare i risultati della gestione e le esperienze di public - private parternships community foundations realizzate a livello locale. In queste ultime sedi, infatti, le autorità locali, gli operatori privati, gli organismi di volontariato e le altre istanze provenienti dalla comunità dibattono, deliberano, finanziano e portano a compimento le politiche pubbliche culturali raccogliendo capitali privati per la realizzazione di progetti ritenuti meritevoli di finanziamento.

Innanzitutto dallo studio dell'ordinamento giuridico inglese emergono tre profili particolarmente interessanti: l'esiguità del ricorso alla disciplina legislativa a favore della emanazione di atti amministrativi generali a carattere spesso non vincolate, la preponderante presenza dei soggetti appartenenti al terzo settore che non solo gestiscono, ma finanziano e collaborano alla formulazione delle politiche, il recente ricorso a strumenti consensuali nella programmazione delle attività di gestione.

Il primo degli elementi considerati è sicuramente antitetico rispetto all'ordinamento italiano dove la presenza del Codice del beni culturali rappresenta sicuramente il punto di riferimento per la disciplina della materia. Non c'è dubbio che nel sistema d'oltre Manica esso determini un vuoto sistematico che è spesso causa di precarietà e di profili problematici nella ricostruzione degli strumenti giuridici da applicare. Tuttavia, lo stesso carattere di indeterminatezza consente in alcuni casi una maggior dialettica tra i soggetti interessati che agevola la formulazione di politiche di settore maggiormente efficienti.

Più complessa è la valutazione con riferimento agli altri due dati. Da un lato infatti il ruolo del settore privato inteso come organizzazioni non profit è caro anche agli studiosi italiani dell'ordinamento dei beni culturali che vi vedono una delle forme di attuazione del principio costituzionale di cui all'art. 118 comma 4 della Costituzione .

Più arduo sarebbe, però, sostenere che la presenza del settore non profit anche nell'ordinamento inglese confermi una difficoltà di fatto di attuare una piena gestione dei beni culturali secondo logiche aziendalistiche, apparentemente realizzate solo nelle attività collegate e nei servizi c.d. aggiuntivi.

Nel sistema inglese, infatti, sono presenti molti esempi che riguardano una gestione parzialmente imprenditoriale del patrimonio culturale come nelle ipotesi del Landmark trusto dei Buildings Preservation Trusts. Al riguardo si rivela però determinante l'operato della Charity Commission, la quale valuta caso per caso l'ammissibilità delle attività gestionali connesse ai fini istituzionali dell'organizzazione.

Questo perché una gestione sana del patrimonio culturale rappresenta il punto di partenza per il miglioramento degli interventi di tutela e conservazione che sono essenziali per il mantenimento dei valori di cui i beni sono portatori.

Potenzialità nel divenire modelli esportabili di amministrazione e gestione del patrimonio culturale vanno, infine, riconosciute alle previsioni relative agli atti di programmazione e pianificazione e alle sedi istituzionali di partecipazione sia a livello centrale che periferico.

Quest'ultime, sebbene in alcuni casi si siano rivelate di difficile attuazione - come nell'esempio dei Conservation Area Advisory Commitees - consentono, infatti, di realizzare degli strumenti giuridici di dialogo tra tutti i soggetti interessati all'elaborazione delle politiche culturali e alla traduzione in concreto degli interventi programmati (soggetti pubblici, soggetti privati proprietari, organizzazioni non profit, finanziatori).

 

 


ADMIN
Stampa Pubblicazione: 15/07/2014
Ultimo aggiornamento: 15/07/2014
 

 
 
 
 
 
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